40° Legge speciale n. 230/1978 per Orvieto e Todi. Testimonianze – 1) parte

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40° Legge speciale n. 230/1978 per Orvieto e Todi. Testimonianze – 1) parte

COMUNICATO STAMPA n. 416/18 G.M. del 25.05.18 
La Legge n. 230/1978 per la salvaguardia e tutela della Rupe di Orvieto e del Colle di Todi “nacque dal basso”
• Nelle testimonianze di chi per 40 anni fino ai giorni nostri ha seguito le vicende del risanamento delle due città umbre emerge il quadro istituzionale, sociale, economico e culturale dell’Italia e dell’Umbria alla fine degli anni ’70 del Novecento e il protagonismo attivo degli Enti Locali e della classe dirigente che costruirono un percorso virtuoso e innovativo
• Le prospettive per il futuro 
(ON/AF) – ORVIETO – Nel Palazzo del Capitano del Popolo di Orvieto sono iniziate oggi, le celebrazioni per i 40 anni della Legge n. 230/1978, approvata dal Parlamento Italiano il 25 maggio 1978, recante “Provvedimenti urgenti per il consolidamento della Rupe di Orvieto e del Colle di Todi a salvaguardia del patrimonio paesistico, storico, archeologico, ed artistico delle due città”.
Presentati e moderati da Endro MARTINI Presidente di Alta Scuola che ha evidenziato l’intento della “celebrazione come percorso di rilettura, per tappe, della storia della salvaguardia di Orvieto e Todi”, i lavori sono stati aperti dal Sindaco di Orvieto, Giuseppe GERMANI e dal Sindaco di Todi, Antonino RUGGIANO
Germani rivolgendosi alle varie persone che avuto una parte importante in questa storia ha detto: “dovete essere orgogliosi per quello che avete lasciato a noi e alla nuove generazioni. Un evento disastroso che poteva diventare catastrofico, è stato trasformato in una grande opportunità. In 40 anni, uomini e donne uniti, hanno portato avanti un grande lavoro che oggi è un patrimonio.
La legge 230 è stata uno spartiacque importante. C’è un prima e c’è un dopo, da quando si è iniziato a pensare al futuro, grazie ad una classe dirigente che ha saputo guardare oltre. Riteniamo giusto riprodurre e rendere accessibili a tutti i tanti documenti prodotti in questi lunghi anni nei quali era molto sentito il senso di appartenenza, per ritrovarvi oggi un nuovo senso di appartenenza.
In quegli anni venne praticato un nuovo approccio ai problemi che fu di tipo multidisciplinare: antropologico, geologico, tecnologico. Ci fu poi un grande lavoro di squadra nel senso che la politica, tutta, procedeva unita verso un obiettivo, senza differenze e posizioni di parte. Non meno importante il ruolo delle maestranze che trovarono in questa esperienza di Orvieto e Todi la fucina di nuove professionalità; e poi le imprese come Todini, Geosonda, Grassetto, Sogestra che sono rimaste nella nostra storia.
Con questa prima giornata di riflessione a 40 anni dalla prima legge per Orvieto e Todi, e grazie alla presenza di Italia Sicura, vogliamo però guardare alle prospettive per il futuro e lanciare la sfida al nuovo governo di rilanciare e reinterpretare nel futuro quella che è stata una grande opportunità riconosciuta a livello internazionale come una buona pratica di governo del territorio”.
  
Il Sindaco di Todi, Ruggiano ammettendo di provare una particolare emozione ha ricordato che “tra Orvieto e Todi c’è un lungo legame (non solo per l’appartenenza alla stessa Diocesi) e fratellanza, quindi la giornata di oggi rappresenta un momento speciale perché viene ricordata e affermata la capacità di aver messo al centro dei problemi nazionali le nostre due piccole città di una piccola regione nel cuore dell’Italia. Cosa che di per sé è un percorso virtuoso, frutto di un lavoro quotidiano, certosino, fatto per la propria città, con grande amore. Per noi tuderti, e sicuramente per gli orvietani, il XX secolo sarà ricordato come il secolo della salvezza del colle di Todi e della Rupe di Orvieto.
Condividere una esperienza di vita e di comunità sembra che oggi non conti più nulla, mentre i social avvelenano ogni cosa. I Sindaci di allora hanno saputo fare squadra, oggi invece si tende a perdere la capacità di fare coesione. 
In realtà mi sento di dire che il nostro Paese non è lo schifo che viene dipinto. Dobbiamo essere orgogliosi di avere ereditato valori importanti e di essere figli di esempi di vita. Ci deve restare nel cuore l’insegnamento di questi valori. In un periodo di tensioni nazionali come furono la fine degli anni ’70 – ricordo l’assassinio di Aldo Moro – le nostre comunità, e tutta la comunità regionale lavorarono insieme per salvare due delle splendide città di cui l’Umbria è ricca. Questo insegnamento deve valere anche oggi e per il futuro, e deve essere oggi come allora, volano per nuovi progetti e risorse”.
Sono seguite le testimonianze di chi negli anni successivi all’approvazione della prima Legge Speciale seguì le fasi degli interventi di tutela e salvaguardia della Rupe e del Colle, a partire dagli ex Sindaci dei due Comuni: 
“Poco più di quarant’anni fa – ha detto Franco Raimondo Barbabella, già Sindaco di Orvieto – in circostanze in parte intervenute e in parte volute, iniziò un percorso di cambiamento per il quale Orvieto potè reimpostare la sua identità e il suo ruolo. Accadde nel contesto drammatico delle frane della rupe (quelle del ’77 e del ’79) che minacciavano la città storica, ‘gioiello di pietra’ (secondo la bella definizione di Folco Quilici) noto nel mondo, e nel contesto delle leggi speciali che si susseguirono per farvi fronte, a partire dalla prima, la n. 230 del 25 maggio 1978, che oggi appunto ricordiamo. 
Nel 1975 eravamo entrati, io e Adriano Casasole, in Consiglio comunale come consiglieri indipendenti, e proprio in quell’anno, il 1978, mi lasciai convincere soprattutto da Adriano a fare anch’io l’assessore. Vivemmo insieme al sindaco di allora Vladimiro Giulietti, agli altri colleghi assessori, ai consiglieri e alla città intera, momenti di grande apprensione perché si appalesava con quelle frane un problema drammatico che non potevamo fronteggiare da soli. 
Iniziò perciò subito un’opera straordinaria di sensibilizzazione che trasformò in breve tempo una questione che poteva essere vista come ordinaria in una questione straordinaria che premeva a tutti: salvare una città che era di per sé un ‘gioiello di pietra’ e custodiva però nel suo seno un altro gioiello del tutto speciale, il Duomo. L’esito alla fine fu la legge 230 per Orvieto e Todi, che Fabio Ciuffini amava definire ‘Legge per Orviodi’.
Il problema non era solo il dissesto idrogeologico della rupe. C’era una questione di degrado generale, di crisi strutturale, e insieme però per converso una forte domanda di futuro. Ho detto che Orvieto reimpostò allora la sua identità e il suo ruolo. Lo fece nel contesto particolare di quegli anni, nei quali il 1978 rappresenta una tappa importante ma solo una tappa. 
Lo fece inventandosi un’ambiziosa operazione progettuale, al fondo della quale c’era la convinzione che l’emergenza rupe, la sua manifesta fragilità, latente ma esplosa all’improvviso, poteva e doveva essere rovesciata in occasione per la rinascita. Accadde perciò che le leggi speciali furono utilizzate non solo per risanare il masso e mettere in sicurezza il centro storico ma per un’operazione di restauro generale funzionale ad un’idea di futuro che nel frattempo era maturata. 
In questo senso una funzione preparatoria essenziale, al fine di un ripensamento dell’idea di città e di una sua nuova collocazione funzionale nel contesto territoriale e regionale, era stata svolta dal dibattito sulla Variante Satolli-Benevolo al PRG Piccinato e dalla sua successiva contrastata approvazione, avvenuta nel 1976. Un dibattito lungo e drammatico. Uno scontro politico duro dentro il PCI e in Consiglio Comunale tra maggioranza socialcomunista e opposizione democristiana e missina. Uno scontro tra concezioni culturali e strategie politiche diverse. In quel momento vinse l’innovazione: si passava dal primato delle lottizzazioni al primato del risanamento del centro storico. Diventava centrale la cultura come asse strategico e la cura dei beni culturali e ambientali come investimento produttivo.
Il frutto di questo percorso fu il ‘Progetto Orvieto’, il nome con cui fu indicato il complesso degli interventi mediante i quali in concreto si intendeva mettere in condizione la città di poter utilizzare le sue potenzialità endogene e acquisire così di nuovo quel ruolo trainante dello sviluppo di una vasta area territoriale che per diverse ragioni da molto tempo aveva perso. Questo nome fu coniato nel corso delle iniziative facenti parte del convegno ‘Orvieto: i luoghi della cultura’ svoltosi al Teatro Mancinelli nel gennaio-febbraio 1981 e divenne politica progettuale dell’Amministrazione (di cui nel frattempo, nel 1980, ero diventato sindaco) con il documento ‘Proposte per un nuovo ruolo della città antica nell’ambito urbano’ approvato dal Consiglio comunale all’unanimità il 2 luglio del 1982. 
Fu una sfida per noi stessi e nel contesto della politica di allora. L’idea prevalente che si aveva delle leggi speciali era che esse servivano a trovare soldi e a consentire a regione e comuni di sostenere altre incombenze, ed in effetti era così, ma non era solo così. Anche in Umbria la cosa fu vissuta per larga parte in questo modo, per cui il Progetto Orvieto fu visto al massimo come un ottimo espediente. Invece non lo era affatto; era una vera sfida di cambiamento. 
Di fatto stavamo proponendo nel concreto, insieme ad una strategia di sviluppo territoriale, anche un’idea di regione policentrica che all’epoca non produceva nel corpo politico, credo che possiamo dirlo senza offendere nessuno, il massimo indice di gradimento. Insomma disturbavamo un po’ e sapevamo di farlo. Ne abbiamo pagate ovviamente le conseguenze.
L’idea per allora in effetti era rivoluzionaria per diverse ragioni: 
– la città storica veniva concepita come un unicum che lega insieme cultura e natura, città storica con masso tufaceo, pendici e territorio; 
– i beni e le attività culturali venivano intesi come fonte di ricchezza e l’investimento su di essi come investimento produttivo; 
– il futuro veniva immaginato come proiezione internazionale di una città dotata di forte capacità attrattiva che per questo doveva essere capace di attrezzarsi con infrastrutture adeguate, servizi moderni e funzionali, offerte competitive, qualità generalizzata; 
– il suo ruolo territoriale veniva concepito come passaggio da area marginale a cerniera interregionale.
Quell’idea, seppure l’interruzione del suo percorso non ne abbia consentito tutti gli sviluppi allora ipotizzati, complessivamente per aspetti importanti ha funzionato, come dimostra la realtà. Infatti, il programma di opere che dava concreta attuazione a quel vasto disegno fu attuato senza sprechi, con aggiustamenti progressivi ma senza ripensamenti sostanziali e in tempi piuttosto brevi, ragione non secondaria del fatto che il ‘Progetto Orvieto’ fu visto in Europa come modello di salvaguardia e valorizzazione dei centri storici. Fu valutato infatti così dal Consiglio d’Europa e così fu visto dall’UNESCO attraverso la mostra dei progetti presentata, insieme a Todi, in rappresentanza dell’Italia a Belgrado in occasione dell’assemblea organizzata lì da questa organizzazione mondiale”.
“Fu un’operazione durata un decennio – ha aggiunto – quello che va dalla prima legge speciale, legge 25 maggio 1978 n. 230, alla legge finalizzata al completamento dei lavori, legge 29 dicembre 1987 n. 545. In mezzo ci sono i rifinanziamenti della 230 e la prima legge di finanziamento pluriennale, la legge 12 giugno 1984 n. 227. Bisogna dirlo, senza il Progetto Orvieto, senza quella strategia di ampio respiro, le leggi speciali pluriennali con l’inclusione del restauro e la rifunzionalizzazione dei beni culturali, cioè un intervento storico-ambientale globale, probabilmente non ci sarebbero state. 
Ci allineavamo così alle città che già godevano di leggi speciali (Venezia, Siena, Matera), ma sulla base di una strategia di sviluppo organico città-territorio che l’Europa aveva elevato a modello di messa in sicurezza e valorizzazione dei siti di valore storico-artistico-ambientale.
All’inizio la battaglia per affrontare in modo organico il problema delle frane fu condotta da Orvieto, ma poi, quando si rese evidente che la dimensione dei problemi era tale da richiedere necessariamente un intervento dello Stato e che ciò comportava la presentazione di una proposta di legge speciale da parte della Regione, allora, anche per la logica allora in essere del bilanciamento tra le due Province, fu deciso di inserire nell’iniziativa Todi, il cui colle aveva problemi analoghi a quelli della rupe. Una scelta che si sarebbe rivelata non solo opportuna ma utile e lungimirante. Si deve dare atto ai protagonisti della politica regionale di avere scelto, anche contro le resistenze di alcuni amministratori locali, la strada giusta. Poi noi collaborammo alla grande con i colleghi di Todi.
Da quanto detto si comprende l’interesse che può rivestire non tanto la celebrazione di quel decennio, a partire proprio dai 40 anni della legge 230/’78, quanto piuttosto una riflessione organizzata per capire da una parte che cosa è successo allora, come si agì e con quali risultati, e dall’altra come a distanza di quarant’anni da quella complessa vicenda si pongono oggi i problemi di salvaguardia e valorizzazione di città così particolari in quanto luoghi di condensazione di valori universali. Che cosa è successo a seguito di quelle complesse operazioni di ideazione e realizzazione? Come quell’esperienza può essere resa utile anche per l’oggi? Se essa allora venne ritenuta un modello da imitare a livello internazionale per le strategie di salvaguardia e di valorizzazione dei centri storici di pregio, oggi potrebbe di nuovo funzionare? In che modo? Che cosa bisognerebbe fare?
Io ho ritenuto nel passato e continuo a ritenere oggi che sarebbe anche utile approfondire gli aspetti politici di quella vicenda con particolare riferimento alle dinamiche che allora si svilupparono tra i diversi soggetti in campo: tra comuni, regione e parlamento; tra comuni, soprintendenze e regione; tra istituzioni europee e istituzioni nazionali. E quale fu il ruolo dell’opinione pubblica nazionale e internazionale”. 
“In tale contesto – ha concluso – andrebbe fatto emergere il ruolo che ebbero i personaggi che ci dettero una mano, anzitutto Luigi Anderlini, Luigi Malerba e i 100 esponenti della cultura e del made in Italy che firmarono l’appello per la salvezza di Orvieto nel 1986. E tanti altri, alcuni dei quali sono qui e saluto con affetto ma con il pensiero rivolto anche a chi oggi non c’è (ad es. Germano Marri) o non c’è non per sua volontà. Penso al caro ingegnere Perricone, ai direttori dei lavori della rupe, gli ingegneri Bellezza e Curli, all’ingegnere Mario Piccione, al consigliere Ercini, agli assessori Tomassini e Fatale, al sottosegretario Maravalle, e insomma a tanti altri che non è possibile citare qui al completo.
In ogni caso, qualunque via di riflessione si ritenesse di dover adottare, essa di sicuro ci fornirebbe indicazioni utili per l’oggi. Se non altro per evitare di trasformare grandi possibilità di cambiamento positivo in occasioni di lacerazione e arretramento. Di questo modo di ragionare e di agire in termini strategici e progettuali c’è, mi pare, ancora e di nuovo un grande bisogno. 
D’altronde proprio oggi i limiti evidenti della globalizzazione e l’eccessiva concentrazione in grandi aree urbane spersonalizzate fa di nuovo emergere i centri storici di pregio come possibili modelli per una vita all’altezza delle necessità e delle aspirazioni dell’uomo. In tal senso, potenzialità come quelle delle nostre due città se ne trovano in giro abbastanza poche. Per questo sono preziose in modo del tutto particolare. E la memoria diventa non culto del passato ma risorsa per l’avvenire.
Come si vede, parlo non solo di Orvieto ma insieme di Orvieto e di Todi. Può essere infatti interessante immaginare un complesso di iniziative congiunte delle due città, anche se l’articolazione può essere diversa, essendo ovviamente diversi i percorsi seguiti. Ne potrebbe trarre beneficio l’Umbria come regione che custodisce gioielli e che nel mondo vuole rappresentare un complessivo modello di vivibilità. C’è dunque un bel potenziale che potrebbe essere trasformato in progetto di grande respiro.
Non è questo il luogo e il momento di parlare in modo preciso delle iniziative possibili. Mi limito a dire che possono essere belle e importanti. Oltre al fatto che ci sono questioni urgenti non risolte come il sistema di osservazione/controllo – manutenzione – valorizzazione. Tempo fa ho consegnato al sindaco Germani un documento con una serie di proposte; di queste e di altre si è incominciato a parlare in alcune riunioni. Io mi dichiaro a disposizione se si vorrà fare qualcosa che abbia il senso di una memoria viva e utile per il futuro, quel cammino creativo che ho cercato di indicare con questo mio intervento”. 

“A questa vicenda storica che ci ha visti coinvolti umanamente e culturalmente – ha detto Stefano Cimicchi ex Sindaco di Orvieto – ci sono due approcci possibili: il primo, di tipo metodologico, perché sono state fatte cose ancora utili; il secondo, per capire quale impatto ha avuto questo periodo storico e questa vicenda del risanamento della Rupe sulla città, sul nostro territorio.
La questione va infatti storicizzata. Orvieto è una città etrusca di cui oggi si stanno scoprendo le vestigia; una città che nel Duecento con l’edificazione del Duomo ebbe una ulteriore affermazione di sé, replicata nel Cinquecento. Poi i cosiddetti secoli ‘stitici’ fino ad arrivare agli inizi del Novecento quando con Mussolini, dalla città dei conventi Orvieto divenne la città delle caserme che ospitarono fino a 8 mila soldati oltre gli ufficiali.
Questo per dire che da questa vicenda storica della salvaguardia e tutela della Rupe di Orvieto deve scaturire l’esortazione ad una riflessione: negli anni ‘70 del Novecento c’era già una cultura della programmazione. Dopo il fallimento dei molini popolari, l’accadimento delle frane lungo le pendici della rupe e i crolli dei liscioni di tufo divenne l’inizio di una progettualità che è quella poc’anzi descritta.
C’è un punto fermo che è quello della concezione urbanistica: una città non si restaura per farne un monumento freddo ma perché deve vivere attraverso il suoi edifici rifunzionalizzati come dimostra questo palazzo del Capitano del Popolo che nel tempo ebbe destinazioni plurime e che alla fine degli anni ’80 venne ristrutturato, restaurato e adibito a palazzo dei congressi.
Oggi, quindi, la vera sfida è dimostrare che con le infrastrutture realizzate e per le vecchie e nuove funzioni degli edifici storici, l’apporto delle università e delle tecnologie, la città può affermarsi e risplendere in un nuovo futuro. Sono sicuro che una storicizzazione e una riflessione seria potrà giovare alle giovani generazioni”. 
“Prima di portare qualche testimonianza concreta di vita vissuta al fianco di chi lavorava al consolidamento del colle di Todi e ai cittadini tuderti – ha detto Massimo Buconi ex Sindaco di Todi – vorrei ricordare l’importate ruolo del Senatore Spitella nel cucire, politicamente, l’unità di intenti che portò ad una azione coesa. Vorrei ricordare l’On. Botta allora presidente della Commissione Lavori Pubblici.
La legge 230 ebbe un ruolo fondamentale su cui si basarono le leggi successive di rifinanziamento. Essa incise in modo importante anche sul recupero del patrimonio monumentale (indirizzato dalla Legge 545/1987) che parlava appunto di ‘valorizzazione’.
Ricordo inoltre, il ruolo importante svolto dai funzionati amministrativi della Regione che furono impegnati in gare di appalto complicatissime con assunzioni di responsabilità anche personali. Ricordo il grande protagonista che fu l’imprenditore Franco Todini, grazie al quale i lavori su Todi non si fermarono mai, nemmeno quando avrebbero potuto rallentare per un vuoto di flussi di risorse e che era pronto ad investire in prima persona sulla sua città.
Oggi sento di augurare a tutti i Sindaci di poter vivere queste esperienze che li portano a stretto contatto con i cittadini. Penso infatti alla programmazione dei lavori che avveniva nel rispetto assoluto del vissuto quotidiano dei cittadini e delle attività economiche, aspetto su cui sarebbero innumerevoli gli aneddoti da raccontare. Non era facile conciliare le diverse esigenze ma l’imperativo era assicurare la vivibilità della città. E questo venne fatto.
L’invito che io oggi rivolgo a tutti è che c’è la necessità di riprendere il filo delle leggi speciali per Orvieto e Todi e guardare al futuro”.

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Ultimo aggiornamento
25/05/2018